Quo vadis, Pd?

Giovanni Barbarito 1E

“Mi vergogno”. È con questa frase, contenuta in un suo amareggiato post, che il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, si è dimesso dal ruolo di segretario generale del Partito Democratico. Già da tempo la situazione del Pd andava peggiorando, con gli ex renziani di Base Riformista critici nei confronti di diverse sue scelte, a partire dall’alleanza con il Movimento 5 Stelle fino alla mancanza di donne tra i ministri del Pd nel Governo Draghi. “O cambia la linea o cambia il segretario”, aveva commentato Matteo Orfini, poco persuaso dalla proposta di un congresso tematico lanciata da Zingaretti. 

A questo punto, si sono aperti due possibili scenari: l’Assemblea Nazionale poteva nominare un nuovo segretario o eleggere un reggente in vista del congresso anticipato. Dopo aver sondato diversi nomi per la carica di segretario, parecchi dirigenti si sono allineati sulla figura di Enrico Letta. Già vicesegretario di Bersani, poi Presidente del Consiglio dei ministri nel “governo delle larghe intese” e pugnalato alle spalle da Matteo Renzi, segretario del suo stesso partito, Letta in questi anni ha vissuto a Parigi, dove ricopre il ruolo di direttore della Scuola di affari internazionali di Science Po. 

Letta è rientrato a Roma e, dopo essersi preso due giorni di riflessione, ha sciolto la riserva: “Lo faccio per amore della politica, passione per i valori democratici.” Ha fatto sapere in un video su Twitter.

Un paio di giorni dopo si sono tenute le votazioni dell’Assemblea online, in seguito ad un discorso in cui Letta, unico candidato, ha presentato quelle che devono essere le nuove priorità e le nuove parole d’ordine del Pd. Ha iniziato subito rivolgendosi alla base: “Un saluto a tutti i Democratici e a tutte le Democratiche che ci stanno seguendo”, dichiarando la necessità di ricucire il rapporto con i circoli e aprendo una stagione di dibattito tra gli iscritti sui valori e sui contenuti. Poi, ha dedicato molta attenzione alla parità di genere, nel partito come fuori: “In questo anno la parte della nostra società che ha subito le conseguenze più dure e ha pagato il prezzo più alto è sicuramente quella delle donne”, “noi dobbiamo assumere questo tema come centrale”, perché “noi del Partito Democratico abbiamo un problema su questo tema … la nostra rappresentanza al governo lo dimostra, come anche lo stesso fatto che sia io qui e non una segretaria donna”, proponendosi di risolverlo e sottolineando che “questo non è un problema soltanto nostro, è generale ed è assurdo.” A questo punto è andato avanti con le sue proposte: la prima, il voto ai sedicenni, per trasformare realmente il Pd nel “partito dei giovani”; poi lo Ius Soli. Quindi, temi riguardanti modifiche costituzionali ed elettorali: lotta al trasformismo e atteggiamento di critica al “paradiso del Gruppo Misto”, che “in altri Paesi non esiste”; e l’introduzione della sfiducia costruttiva, ossia l’impossibilità del Parlamento di votare la sfiducia al Governo in carica se, contestualmente, non concede la fiducia ad un nuovo esecutivo. Infine, si è concentrato sul tema delle alleanze, ricordando che solo uniti si vince e che, per costruire un centro-sinistra aperto, parlerà con Speranza, Calenda, Bonino, Fratoianni, oltre a proseguire, contemporaneamente, l’incontro con l’M5S guidato da Giuseppe Conte; e ha criticato il sistema delle correnti, perché “così non funziona”.

Eletto con 860 voti favorevoli, non ha perso tempo per mettere in atto quello che aveva prospettato: ha rivoluzionato la segreteria, stabilendo un rapporto perfettamente equo tra uomini e donne, e ha spinto i capigruppo alla camera e al senato, rispettivamente Delrio e Marcucci, a dimettersi, per essere sostituiti da due donne, Serracchiani e Malpezzi.

Inoltre, ha perseguito una volontà di rivoluzione che, almeno secondo me, è esattamente ciò di cui ha bisogno il Pd per smettere di essere visto da una parte di opinione pubblica come un partito nato male, semplice “contenitore” di due storie politiche inconciliabili, gli ex comunisti e i vecchi democristiani “di sinistra”, costruendo un’identità politica realmente nuova che si basi su valori condivisi ma che sappia guardare oltre, al presente ed al futuro, invece che ad un passato ormai conclusosi. Per costruire questa nuova identità, è evidentemente necessario superare il sistema del correntismo, e il neosegretario lo sa bene.

In questo senso Letta ha già fatto molto: ha nominato vicesegretari un uomo e una donna, Beppe Provenzano (appartenente alla Sinistra interna) e Irene Tinagli (vicina a Calenda ed economicamente liberal), di certo inquadrabili nelle due diverse componenti del partito ma “nativi Democratici” e slegati dalla vecchia logica ex Pci-ex Dc. Perché, ha detto, il Pd dev’essere “partito con diverse anime, e non una federazione di partiti”. 

Con questa nuova grinta il Partito Democratico è potuto tornare ad essere baricentro del Governo Draghi, la cui agenda, a mio parere, è perfettamente in linea con i suoi valori: è stata la Lega a rinunciare alle sue posizioni più dure su Europa ed economia, non il Pd, e questo con Zingaretti, soprattutto per via del fatto che in passato si era legato alla linea “o Conte o elezioni”, non veniva sufficientemente fatto percepire all’esterno.

In più, per costruire un centro-sinistra largo, punta molto sulle alleanze: dopo Giuseppe Conte, ha incontrato Carlo Calenda, i verdi di Bonelli e Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, e presto si vedrà con Renzi, garantisce.  Insomma, sembra punti alla nascita di un “nuovo Ulivo”, che raggruppi tutte le principali forze progressiste, sostenendo anche il ritorno ad un sistema maggioritario reso possibile da una “normalizzazione” dei Cinquestelle e pronto a sfidare il centro-destra unito di Salvini, Meloni e Berlusconi.

Per dirla come diversi giornalisti, Letta sta “rivoltando il Pd come un calzino”, e il suo fine ultimo è stato riassunto nella conclusione del suo discorso di candidatura: “Io non ho lasciato la mia vita precedente per venire a guidarvi ad una sconfitta. Io sono qui perché so che se faremo insieme quello che provato a condividere con voi questa mattina, l’Italia, nella sua maggioranza, ci seguirà ancora.” Insomma, vincere.

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