Editoriale

di Carlo Danelon 5F

Mentre penso a cosa diavolo scrivere in questo editoriale, dopo un’estenuante settimana di scrittura, correzioni e colloqui, un dubbio mi assilla: è il momento di dirlo? Ma sì, diciamolo; se non altro, per soffiare sull’entusiasmo di chi ha sentito la mancanza del giornalino: L’Oblò è tornato. È stato difficile; un sentiero tortuoso e oscuro ci ha portato fino all’attività di quest’anno, in parte avvolta ancora nel mistero. Comunque, eccoci. Siamo contenti. Iniziamo a pubblicare un numero sui generis; chi è in terza lo sa bene, chi è in seconda un po’ meno. Per i primini: L’Oblò, il giornalino scolastico del Carducci, di solito, è anche meglio di così – se possibile. Per esempio, è cartaceo. Grazie ai nostri impaginatori, è piacevole da sfogliare; grazie ai nostri disegnatori, è bello da vedere e da collezionare. Confidiamo di rianimare questo costume in occasione del ritorno in presenza. Ma non tutto è perduto: anzi. Da quando per la prima volta presi parte all’attività dell’Oblò, la creazione di un numero m’è sempre sembrata una magnifica rappresentazione del caos primordiale. Per fermare tutto ciò non è bastata neppure una pandemia. In un coacervo di avvisi, ritardi, equivoci, refusi, incontri – virtuali –, passione e fantasia, in quel crocevia pacifico di ignavi e stacanovisti prolissi che talvolta mi sembra la nostra sgangherata redazione, ho riconosciuto il caro vecchio Oblò di sempre. Così il primo numero dell’anno ha preso forma, ed è un numero che ricopre il suo importante ruolo: è uno spazio di aggregazione che si sottrae agli assembramenti, un luogo di partecipazione, di protesta, di sfogo, di divagazione, di divertimento. Soprattutto, un luogo di libertà. Qui persone di quinta e di prima collaborano da pari, perché condividono gli stessi interessi; qui chi a scuola si sente annichilito riprende a respirare, perché dove lì c’è l’obbligo qui c’è il desiderio. La massiva adesione di studenti e studentesse di prima e di seconda sembra dimostrare che ciò sia stato compreso. Il dubbio che mi assillava all’inizio, in fondo, è sparito. Perché se L’Oblò, in questo difficile presente, deve necessariamente scendere a compromessi sul piano della forma, non lo fa su quello dello spirito. E tutto questo numero, allora, è un solo forte grido: esprimiamoci! Così riconquistiamo la libertà, così si apre il nostro futuro.

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